Agosto (50)
Introduzione alla lettura
23/08/13
Introduzione alla lettura
23/08/13
Le grandi crisi si hanno per un colpevole
comportamento delle autorità monetarie e dell’establishment tutto che, in un
certo momento economico, invece di tirare le redini ad un’economia surriscaldata
si fanno coinvolgere in teorie “strampalate”, in suggestivi nuovi “paradigmi economici”, “in stavolta sarà
diverso”, che portano puntualmente economie arrivate a dei livelli talmente
insostenibili a proseguire su quella strada fino ad implodere in crisi
devastanti, la cui gravità è sempre direttamente proporzionale agli eccessi che
l’hanno prodotta. Ma nessuna grande crisi lo è a livelli tali, per lo meno
inizialmente, da mettere in discussione lo stesso sistema, a meno che un
establishment di folli non decida di raddoppiare o triplicare di suo gli
elementi di rischio.
La crisi del 1929 fu la più grave crisi
del primo tipo. Una finanza allegra portò ad un indebitamento smodato e ad un
successivo fallimento di molti di coloro che fecero il passo più lungo della
gamba. Un malessere economico notevole, il 38% di disoccupati, fu la naturale
evoluzione di un’economia che aveva ecceduto, ma è altrettanto vero che il
sistema resse e quella che fu l’accusa al presidente Herbert Hoover, di non
aver operato con interventi mirati dello Stato per sostenere l’economia è stata,
a mio parere, lo cosa che ha salvato, al contrario, il capitalismo americano.
Il non fare nulla di affrettato ha permesso che il lavoro sporco di ripulitura
dell’arterie economiche intasate dagli eccessi fosse portato avanti e quando le
elezioni furono vinte da coloro che ritenevano giusto l’intervento dello stato
sempre e comunque, la cosa ebbe successo perché lo stato americano, la sua
valuta, avevano retto bene alla botta, perché qualcuno aveva fatto il lavoro
sporco per i keynesiani.
Il successo della politica keynesiana,
comprendo che per i più la mia è un’interpretazione paradossale visto il comune
sentire, è dovuto proprio al fatto che nei quattro anni precedenti si privilegiò
esclusivamente il mettere in ordine nei conti dello stato, con un principio che
dovrebbe essere l’abc di ogni buon governo: quello di far pagare soprattutto
agli imbecilli e ai mascalzoni l’aver fatto il passo più lungo della gamba.
Questa volta la crisi, insorta con le
stesse caratteristiche di indebitamento, azzardo finanziario, concentrazione di
ricchezza in pochissime mani, di quella del 1929, sta avendo un esito diverso.
Si è prontamente intervenuti, con i keynesiani in prima fila, per risolvere i
problemi degli oltremodo indebitati cittadini americani, indebitando in maniera
altrettanto parossistica lo stato, pensando di poter controllare eventuali
problemi da troppo indebitamento, da economia surriscaldata, con un eventuale aumento
dei tassi. A mio parere questa ho prodotto solo un’economia ancor più drogata,
dove al mostruoso indebitamento dei privati si somma il criminale indebitamento
dello stato per salvare i suoi cittadini più imbecilli. Ad una situazione
insostenibile dove alle arterie
economiche intasate dal troppo debito
dei privati si è aggiunto l’intasamento causato dallo stato, con la possibilità
di creare quella tempesta perfetta che può portare, questa si, al collasso di
un’intera economia.
Se i cittadini all’improvviso comprendono
che i titoli di stato, la liquidità, la stessa carta moneta, sono una cosa da
cui fuggire, non si avrà una crisi che coinvolge una percentuale, sia pur alta
di popolazione, saranno tutti ad esserne coinvolti. Devo ricordare a qualcuno
che tutto l’apparato statale, amministrativo/repressivo sopravvisse alla crisi
del 1929 e che pure in presenza di salari in calo i prezzi, che scendevano
ancor di più, permisero una decorosa sopravvivenza economica a quel 62% di
popolazione che il lavoro lo aveva mantenuto.
Ovviamente queste sono, come direbbero in
molti, delle farneticazioni di un inguaribile pessimista. Io la penso
diversamente. Per i keynesiani è necessario l’intervento dello stato sempre e
comunque io ritengo, al contrario, che ogni stagione economica ha bisogno dei
suoi interventi, come ogni stagione della vita ha bisogno dei suoi indumenti, e
non mi sognerei mai di dare il premio Nobel per la moda, se mai ci fosse, al
“bizzarro” teorizzatore del costume da bagno come indumento per tutte le
stagioni. Lo vedrei come un folle che non comprende che ogni cosa va fatta a
suo tempo e che è estremamente pericoloso sostenere quella moda nei mesi
invernali. Bene nei decenni passati è stato assegnato il premio Nobel per
l’economia a vari keynesiani che hanno predicato l’intervento dello stato in
tutte le stagioni e in tutte le salse. Per la verità con questo non voglio dire
che sono meritati i premi Nobel per l’economia dati ai monetaristi, più
semplicemente abolirei la vergogna dei premi Nobel per quella materia, quasi
tutti immeritati, e quasi tutti dati a persone dotate di scarsissimo buonsenso
che hanno contribuito, con le loro teorie, a costruire questa crisi nel corso
dei decenni.
Concludo con una constatazione. Non è colpa
del buonista di turno se arriva una crisi economica ma dargli la possibilità di
essere il comandante che ci porta in salvo in quei frangenti è la più grande
follia che si possa fare. Il buonista, purtroppo lo dice il nome, è colui che non avendo le palle per salvare solo
chi lo merita, e/o chi lo può, fa in modo che in una scialuppa di salvataggio
che può contenere, e salvare, 70 persone, salgano tutte le persone che lo
desiderano. E quella donna e quel bambino no? Forza fate posto a quel simpatico
vecchietto! E quella bella ragazza? E quella famiglia numerosa? E quel cattivo
speculatore a cui faremmo (quando mai!) un bel processo, lo vogliamo lasciare
affogare? E quel….. Così non si salveranno nemmeno i 70 che potevano essere che
potevano essere salvati.
Ma è probabile che mi stia sbagliando,
che non comprenda che stavolta è diverso, che è un nuovo paradigma economico.
Paolosenzabandiere
Nessun commento:
Posta un commento