20 maggio 2010

ALLARMI SIAM STRISCISTI!

Circa un mese fa, sul Fatto Quotidiano, uno scrittore, Nicola Lagioia, accusa l'opera televisiva di Ricci di essere una fedele e forse inconsapevole espressione del fascismo nel mondo dei consumi. Lo scrittore parte da un assunto.

Se usi lo stesso linguaggio del tuo nemico, sia pure per criticarlo, sei già come lui.
Il giorno dopo sullo stesso giornale è Ricci a rispondere a Lagioia. La risposta è abbastanza piccata. Rivolta prontamente l'accusa, fascista sarai tu! “Mi accusi di essere espressione del fascismo nel mondo dei consumi e poi non hai un straccio di prova per quello che dici. Al contrario Striscia si propone un lavoro di smontaggio, di messa a nudo di quei meccanismi che sono in grado di rilevare allo spettatore la natura di finzione della tv. Il dubbio è il padre di Striscia e il linguaggio usato è quello dell'ironia e nessuno ha mai visto al mondo un fascista dubbioso e ironico. Pensa, ironia della sorte, ho anche la tessera onoraria dell'ANPI
Striscia ha sempre dato voce ai consumatori, ai più deboli, agli handicappati. Tu senz'altro dirai “me ne frego”, come hai scritto me ne frego se Striscia critica Berlusconi. “Me ne frego”, te lo voglio ricordare, è lo slogan del tipico fascista. Tu speri di ottenere l'immortalità con i tuoi libri scrivendo contro i “poteri di ogni tempo e latitudine, a me ricordi il linguaggio di quello che voleva conquistare “I territori d'Oltremare”.
Virilmente Antonio Ricci (sic!)
Questa è la risposta, sempre sul Fatto Quotidiano di Nicola Lagioia:

Ci sono due cose in questa lettera che sono geniali e che dovrebbero far passare a chiunque la voglia di rispondere. La prima cosa quando lo scrittore dice: “Caro Ricci tu affermi che Striscia serve a smascherare i profittatori e i potenti di turno e a far crescere un pubblico televisivo consapevole, smaliziato, adulto e allora spiegami come mai in questi 20 anni ci sono i risultati elettorali che sappiamo, dov'è la crescita culturale di milioni di tuoi telespettatori?” L'altra affermazione riguarda evidentemente la lettera di Ricci complessivamente e allo scrittore scappa quello che meno prosaicamente a Roma verrebbe tradotto in: “ce fai o ce sei?”, e il fatto di concedere l'eventualità della buona fede non depone certamente a favore di Ricci.
Ma voglio aggiungere qualcosa di mio su una trasmissione che inizialmente sembrava rivoluzionaria, dissacrante e poi, con il passare del tempo si è rivelata funzionale al potere come poche altre. Far finta di essere dalla parte dei deboli, come gli handicappati, di far finta di parlare male del proprio padrone di casa, con le battute sul “cavaliere mascarato” e similia, se ha prodotto un cambiamento negli ultimi venti anni è stato solo in negativo. Mi spiego meglio. I ridicoli attacchi nei confronti del Cavaliere non lo hanno messo alla gogna, al contrario lo hanno reso simpatico a milioni di persone e proprio quelli che dovevano essere smascherati, additati come personaggi disonesti, dalle migliaia di pseudo inchieste fatte nella trasmissione, si sono tramutatati, a poco a poco, in personaggi di successo, arrivati, tanto da essere protagonisti in televisione e premiati per questo con il tapiro d'oro.
Non so se il buttarla nel ridere sia stata una manovra scientemente preparata nel tempo, sò solo che questo modo di fare televisione, ha prodotto nella testa degli italiani, la certezza che così fan tutti, e se tutti sono ladri nessuno lo è più nei fatti o comunque se ne deve vergognare. Può sembrare paradossale ma mi sento di dire che striscia ha dato ai ladri la voglia di non nascondersi, addirittura di godersi il successo che la loro attività ha reso possibile. La controprova di quanto dico? Guardate quante sono le persone che si vergognano nell'occupare posti riservati agli handicappati. In pratica nessun. La denuncia di questi comportamenti produce nella popolazione il desiderio di non commettere più questi abusi. Scherziamo? Saranno solo delusi se, dopo aver commesso l'abuso, non avranno la solita telecamera del ridanciano Robin di turno ad immortalarli.

paolosenzabandiere

Caro Antonio Ricci,
se il compito di Striscia la Notizia fosse davvero lo smascheramento della finzionalità televisiva, come tu non puoi che raccontarci e raccontarti per questioni di sopravvivenza emotiva, oltre vent’anni di programmazione con ascolti altissimi avrebbero dato come risultato un pubblico televisivo consapevole, responsabile, di un livello culturale accettabile, e non quel bacino di share composto da delatori frustrati, aspiranti veline, casalinghe in stato confusionale che si riversa poi nel bacino elettorale coi risultati che sappiamo. Quando dici che non s’è mai visto un fascista ironico, temo tu abbia in mente i gerarchi in fez e camicia nera, e dunque rispetto al presente mi sa che viaggi in differita, come la tua trasmissione. Pasolini deve aver davvero lottato e vissuto invano se oggi dobbiamo insomma credere che il fascismo si esprima ancora con il linguaggio stentoreo e logoro di un Mussolini. La lingua del fascismo contemporaneo è al contrario una lingua eminentemente pubblicitaria: ironica, elementare, suadente. Berlusconi racconta barzellette. Il Gabibbo rimanda solo a se stesso, proprio come uno spot pubblicitario. L’ironia e la comicità di un Lubitch, di un Kubrick, di un Carmelo Bene, dei fratelli Marx, di Ciprì e Maresco è libera e liberatoria perché è al contrario polifonica e antitetica – ripeto – alla lingua dominante, e non starò qui a spiegarti perché ci siano più cose in una loro inquadratura che nell’intero ventennio di Drive In e Striscia la Notizia. Sorvolerò per decenza sugli handicappati usati come foglia di fico. Quello che trovo invece per te fallimentare, è quando dici che ti ho attaccato per avere visibilità. Dimentichi che il compito degli intellettuali è da sempre rompere le scatole ai potenti, e tra noi due il telecomando l’hai sempre avuto in mano tu. Ma forse appartieni a quel tipo di uomini convinti dalla carriera che ogni gesto si faccia per tornaconto personale e trovo triste, che con i sessant’anni, tu debba tagliare un simile traguardo. E comunque un dubbio enorme la tua lettera me l’ha fatto venire. Ti saluto infatti senza capire se concederti l’aggravante della buona fede, Nicola Lagioia.

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